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PYREXIA – Feast Of Iniquity (Unique Leader)

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pyrexia-feast-of-iniquity-2013-570x570I Pyrexia, almeno all’inizio, sono sempre stati un po’ i cugini poveri dei Suffocation. L’esordio Sermon Of Mockery, classe 1993, resta un classico minore del death metal americano. Nulla, però, che all’epoca potesse reggere il confronto con la potenza di fuoco dei più illustri concittadini, che due anni prima avevano vomitato quel monumento di Effigy Of The Forgotten. Manco a farlo apposta, alla chitarra c’era allora un certo Guy Marchais, che aveva militato nella primissima formazione dei Soffoconi, dove ritornerà, per restarci, con Souls To Deny, il disco della reunion del 2004. Il secondo lp, il bruttino System Of The Animal, uscì quattro anni dopo, quando la fortuna commerciale del genere era ai minimi storici e noi della gioventù del male degli anni ’90 non si aveva orecchie che per il black metal e il death svedese. Il flop fu inevitabile e dei newyorchesi non si seppe più nulla fino all’alba del nuovo millennio, quando alcuni loro componenti (tra cui il chitarrista e leader Chris Basile, oggi unico superstite della line-up originale) si imbarcarono insieme a Trevor Perez – che, con gli Obituary temporaneamente sciolti, si stava annoiando parecchio – in quell’avventura un po’ sfigata che furono i Catastrophic, tentativo non troppo riuscito di innestare i riff alla Celtic Frost dei floridiani su una matrice brutal trucida, un esperimento che, peraltro, era già stato attuato in precedenza, con risultati decisamente migliori, dai Six Feet Under di Haunted, complice la presenza dell’altra ascia degli Obies, quel mattacchione di Allen West (chissà se Saul Goodman è riuscito a tirarlo fuori dal carcere, dopo quella faccenda della metanfetamina). I Catastrophic durarono lo spazio di due album, il secondo dei quali, Pathology Of Murder, uscì solo nel 2008, quando Basile se ne era ormai tirato fuori per rimettere in piedi con nuovi membri la sua vecchia creatura, con la quale aveva pubblicato l’anno prima il notevole Age Of The Wicked, che riportò un po’ in auge il nome dei Pyrexia. Anche questa volta, però, il gioco durò poco e un quarto full arriva solo oggi. Ma è valsa la pena di attendere, signori, perché questo Feast Of Iniquity è una fottutissima bomba.

Io non stavo più nella pelle già quando seppi che le parti di batteria erano state registrate da Doug Bohn (che suonò su Pierced From Within, l’indiscusso capolavoro dei Suffocation, per poi sparire praticamente nel nulla fino a oggi) e da quel gran figo di Dave Culross (ex tritapelli dei Malevolent Creation e oggi batterista dei… Suffocation, con i quali aveva inciso in passato lo splendido ep Despise The Sun: a ‘sto punto potevano chiamare pure Mike Smith, già che c’erano). Perché c’avessi tutta ‘sta fregola non saprei spiegarlo bene, dato che i Pyrexia, alla fine, non è che abbiano mai partorito chissà quali capolavori inarrivabili. Però in questi tempi cupi, dove dischi potenzialmente eccellenti come Kingdom Of Conspiracy degli Immolation o lo stesso Pinnacle Of Bedlam vengono massacrati da produzioni alla Death Magnetic, a noi vecchi scorreggioni per essere felici basta un sano, onesto disco vecchia scuola Usa senza troppe pippe, come è appunto Feast Of Iniquity. Oddio, vecchia scuola fino a un certo punto. I suoni restano fin troppo puliti e piatti per i miei gusti e anche l’impostazione dei brani è abbastanza moderna, spingendosi a volte in territori contigui ai Dying Fetus, tanto che una Panzer Tank Lobotomy potrà piacere pure ai giovinastri del deathcore. Tuttavia, tutto quello che posso desiderare da un album death metal americano questo disco me lo dà. Groove assassino, riff scapoccioni, accelerazioni spezzacollo, una voce imperiosa che traina i pezzi invece del solito gurgling monocorde e, soprattutto, un lavoro di batteria straordinario, avvincente e mai prevedibile. Feast Of Iniquity mi è piacuto così tanto perché è riuscito a toccare con una naturalezza devastante tutte le corde emotive che mi hanno fatto innamorare di questo genere, sensazioni fin troppo primordiali per venire espresse a parole. Le stesse per le quali mi ritrovo ora in piedi davanti alle casse a fare l’hand chop in stile Frank Mullen sul micidiale attacco di Wheel Of Impunity. Il miglior disco brutal death del 2013. Punto e basta.



End of the beginning: il 2013 secondo Metal Skunk

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BLACK-MOTH-SINGER

Harriet Bevan presenta la classifica di fine anno del suo blog preferito

Compiuto il consueto rituale egolatrico delle playlist individuali che, come ogni anno, ha mandato tutti nel panico (tranne me e Charles che, essendo due maniaci ossessivo-compulsivi persone serie, ogni gennaio creiamo un file di testo apposito che si rivela stracolmo già a primavera inoltrata), è il momento della classificona generale, con il meglio e il peggio del 2013 metallaro secondo il nostro discutibile punto di vista. Nonostante l’età media delle firme del blog si sia un po’ abbassata, a vincere sono sempre le vecchie lenze, il che un po’ preoccupa, anche perché ormai pare forzato legare ciò solo al gusto scler0tizzato di noi vecchi scoreggioni (io, personalmente, mi ritengo un ascoltatore ancora curioso e affamato e, al di fuori dei confini del metallo tout-court, di band che mi regalino emozioni e che non si siano formate prima del 1990 continuo a trovarne parecchie). D’altra parte, però, il 2013 è stato soprattutto l’anno di due gruppi dall’importanza storica incommensurabile che, tornati in attività dopo un silenzio lunghissimo, hanno pubblicato due album tutt’altro che perfetti ma decisamente al di sopra delle più irrealistiche aspettative, tanto da meritarsi il primo e il secondo posto del podio…

PRIMO POSTO

Carcass-Surgical-Steel-cover-art

Surgical Steel è l’unico album che i Carcass potevano (e dovevano) permettersi di scrivere nel 2013. Un disco nostalgico che trasuda onestà incondizionata, anche se è un roba vecchia, scritta da vecchi, per un pubblico giovane. Se lo si ascolta con la coscienza pulita, consci degli ovvi limiti, può anche stupire, una gran cosa di questi tempi. (Giovanni Pontolillo)”.

 

SECONDO POSTO

black-sabbath-13-cover

13 è un commiato eccellente, un album bello e credibile che ci ricorda ancora una volta come i Black Sabbath siano la cosa migliore mai prodotta nella storia dall’umanità (Stefano Greco)”.

rotting christ

Kατά Τον Δαίμονα Εαυτού non richiede nessuna particolare giustificazione, perché è un discone della madonna a prescindere da come la pensiate su tutta la parabola sinusoidale intrapresa dai Rotting Christ, dagli inizi black all’intermezzo gothic fino a questo indefinibile crogiolo di black, epic e folk metal mediterraneo che, in realtà, hanno iniziato a costruire vent’anni fa, quando mezzo mondo giocava a rincorrere la Norvegia (Matteo Ferri)”.

 

TERZO POSTO

voivod_target_earth

“Siamo di fronte alla più insperata e irreale delle resurrezioni, un disco stracarico di idee, non un filler che sia uno in quasi un’ora di musica. Lineare negli intenti, complesso nella struttura, Target Earth è il metallo famolo strano come ci si aspetta dai Voivod (Stefano Greco)”.

Falkenbach-Asa

“Con Asa i Falkenbach tornano alle proprie radici. Pagan/black metal cadenzato, ipnotico e dannatamente evocativo come solo questo straordinario cantore di Odino è capace di fare: 45 minuti di pura epicità nordica (Michele Romani)”.

 

ALTRA ROBA CHE CI È GARBATA

The Holy Empire“Se vi piacciono gli Warlord dovete procurarvi The Holy Empire ed al più presto possibile. Dovete proprio, non c’è storia. Ci ritrovate tutto: stesse chitarre, stessa batteria (Roland), stessi suoni di tastiera, stesso tiro dei pezzi, come se ‘sto disco invece di uscire nel millenovecentottantasei fosse rimasto sepolto sotto un cumulo di nastri, ritrovato per caso trent’anni dopo e dato alle stampe (Cesare Carrozzi)”.

clutch-earth-rocker“Undici canzoni, undici singoli. Earth Rocker è la colonna sonora delle cose belle della vita, un album così cazzuto che le lettrici dovranno ascoltarlo con il diaframma, altrimenti nascerà un pupo con la faccia di Neil Fallon, barba e tutto, che, appena nato, toccherà il culo all’infermiera e chiederà una birra. È tutto bellissimo, è tutto perfetto. Se gli Iron Maiden sono come la mamma, i Clutch sono come la gnocca (Ciccio Russo)”.

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERAThe Headless Ritual vede un ritorno in grande stile di quel death misto al doom che è da sempre marchio di fabbrica del sempiterno Chris Reifert. Un album con i controcazzi, ferale, marcio dentro e al tempo stesso atmosferico in un modo tutto suo, a tratti struggente, con quell’alternanza di botte old school e passaggi doom da spaccarsi tutte le vertebre cervicali in una volta sola. Gli Autopsy continuano a invecchiare bene (Luca Bonetta)”.

cult_of_luna“Quella dei Cult Of Luna è stata un’ascesa lenta ma costante che li ha portati a divenire tra gli interpreti più credibili e talentuosi di quelle tendenze moderne del metal figlie della contaminazione con il post-hardcore di fine anni ’90. Derivativi a inizio carriera, si sono poi costruiti progressivamente una propria identità, definita con prepotenza da questo Vertikal che è forse la loro opera più ispirata (Ciccio Russo)”.

4pnl_folderThis World Is Dead vive di rallentamenti groovy, isteriche pedalate in stile Phobia, qualche compressione chitarristica alla Napalm Death e, soprattutto, una traccia bella pesante dei Nasum (ad esempio, c’è il gusto per le aperture melodiche di chiara ascendenza europea, nonché un impianto riff-oriented che tradisce tutta una formazione classica hardcore squatterona). Blockheads promossi col massimo dei voti (Nunzio Lamonaca)”.

mm“Di antico c’è un recupero pesante e inatteso della vena space rock di Spine Of God, di nuovo ci sono l’essenzialità e la volontà di riallacciarsi alle proprie radici rivendicate in episodi come Hallelujah o Three Kingfishers, riuscitissima cover di Donovan. Ispirati e padroni di loro stessi come non lo erano da parecchio, i Monster Magnet hanno ritrovato di colpo la loro identità e Last Patrol è una delle loro prove migliori di sempre (Ciccio Russo)”.

 

CIOFECHE DELL’ANNO

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Super Collider fa così schifo che non puoi non ascoltarlo (Charles)”.

Orphaned-Land-All-Is-One

“Oltre ogni più nefasta previsione il nuovo disco degli Orphaned Land, che da interessante fenomeno di contaminazione musicale si stanno progressivamente trasformando in un gruppo che produce paccottiglia arabeggiante per i locali dei kebabbari kurdi intorno alla stazione Termini (Matteo Ferri)”.

DISCO ITALIANO DELL’ANNO

Il secondo episodio della Trilogia del fallimento è stato citato da mezza redazione ma nel corso dell’anno passato nessuno si è preso la briga di recensirlo. Non ce ne vogliano i Marnero se siamo dei pigri figli di puttana. Intanto, se non l’avete già fatto, potete ascoltare Il Sopravvissuto sulla pagina bandcamp del gruppo bolognese.

MARNERO-Il_Sopravvissuto_Cover

GRUPPO DI SUPPORTO DELL’ANNO

Black Moth (“il gruppo del decennio quantomeno per un paio di settimane”: Trainspotting dixit) perché, alla fine, un po’ di patana ci sta sempre bene. Possano Odino, Crom e Harriet Bevan vegliare su di voi per tutto il 2014, o amici del vero metal.

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“Sti metallari di merda, sempre a guardarmi le tette…”


Frattaglie in saldo #20: saldi di fine anno

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Sicché anche questa volta l’anno nuovo mi ha sorpreso con il Taccuino del Male™ traboccante di uscite targate 2013 delle quali mi ero ripromesso di scrivere senza poi mai riuscirci per questioni di tempo, voglia o ispirazione. Da scribacchino coscienzioso quale mi pregio di essere, provo a recuperare il tempo perduto e vi ammannisco una gragnuola di microrecensioni, in linea con il clima di crapula e dissipazione che caratterizza le feste. Sono state escluse di proposito le produzioni Profound Lore, che verranno trattate in un articolo a parte, dato che quest’etichetta negli scorsi mesi ha fatto uscire veramente una marea di roba fica. Bon appétit:

gorguts-colored-sands-200x200GORGUTS – Colored Sands (Season Of Mist)

A dodici anni da From Wisdom To Hate, Luc Lemay, rimessa in piedi la formazione con sangue fresco, riesce a tirare fuori un nuovo album a nome Gorguts. Di Colored Sands si è detto benissimo, e a ragion veduta, un po’ ovunque, quindi non mi va di tediarvi con l’ennesima sequela di superlativi assoluti. L’anima sregolata e schizoide di Obscura è stata addomesticata dalla maturità e da un’inedita vena melodica, tanto che il disco potrà piacere anche a gente che all’epoca del techno-death arcigno di The Erosion Of Sanity non avrebbe mai digerito i Gorguts. Colored Sands riesce, allo stesso tempo, a colpire al primo impatto con il fascino delle sue atmosfere cupe e a rivelare nuovi spunti a ogni ascolto, man mano che ci si districa in brani complessi ma mai dispersivi come Enemies Of Compassion e Reduced To Silence. E, vivaddio, finalmente una produzione come si deve.

cereklothCEREKLOTH – In The Midst Of Life We Are In Death (Hells Headbangers)

La Hells Headbangers si conferma affidabile fucina di marciume con questo gruppo danese, dedito a quel death metal old school macabro e corrusco che tanto ci piace, pieno di richiami alla vecchia Stoccolma etichetta nera e reminescenze doom. In The Midst Of Life We Are In Death si abbevera alla stessa putrescente palude dalla quale uscirono i vari Into The Grave e Indecent And Obscene e scandisce il tempo che ci separa dal trapasso con riff funerei e cadenzati di marca Autopsy. Se quest’anno gli ultimi Convulse e Coffins sono stati tra i vostri ascolti favoriti, con i Cerekloth non vi potrete sbagliare. Metal Archives li dà già per mezzi sciolti. Sarebbe un vero peccato, perché questo disco è una delle cose migliori uscite dall’underground death metal nordeuropeo nel 2013. A proposito, già che ci siete, recuperate anche l’oppressivo Unending Degradation dei sempre validi finlandesi Krypts, vah.

vastumVASTUM – Patricidal Lust (20 Buck Spin)

Su binari paralleli ai Cerekloth, pur partendo da riferimenti assai diversi (sono americani e si sente), corrono i Vastum, un’altra chicca destinata a fare la gioia di chi di breakdown, loudness war e funesti neologismi consimili davvero non ne può più. Preannunciato dall’ennesima suggestiva copertina dell’ottimo Paolo Girardi, Patricidal Lust vive di lugubri rallentamenti e irruenti stop’n'go che rileggono la lezione di Incantation e Morbid Angel in un’ottica più grezza e virulenta. I californiani danno il loro meglio quando prevale la componente più doomy e oscura, laddove quando premono il piede sull’acceleratore, toccando vette di parossismo thrash degne dei Dark Angel, perdono qualche colpo. L’ennesima conferma dell’eccellente stato di salute dell’underground estremo a stelle e strisce più intransigente, foriero di tesori nascosti (ricordate i Coffin Texts?) che non è sempre semplicissimo portare alla luce.

Thou-Art-Lord-The-Regal-Pulse-of-LuciferTHOU ART LORD – The Regal Pulse Of Lucifer (Nuclear War Now!)

Chi, come me, è un fanatico della cara vecchia scena black greca, conoscerà sicuramente i Thou  Art Lord, progetto messo su una ventina d’anni fa da Sakis dei superni Rotting Christ e Magus Wampyr Daoloth dei dispersi Necromantia per cazzeggiare nei ritagli di tempo lasciati liberi dalle band principali. Troppo impegnato a sfornare un capolavoro dietro l’altro il primo, sostanzialmente uscito dal giro il secondo, non speravo più di rivedere il marchio all’opera. E, invece, a otto anni dal trucido Orgia Daemonicum (il classico disco che può piacere solo a me e a Trainspotting), rieccoli in pista con un album divertente e senza pretese che verrà accolto come la deliziosa madeleine che è da tutti coloro che, all’epoca, furono folgorati sulla via di Atene dai vari Thy Mighty Contract e Scarlet Evil Witching Black. E questa volta si sono messi pure d’impegno. Non c’è infatti più quell’aria di sbraco etilico che permeava gli ultimi lavori e i pezzi si barcamenano con gusto tra tupatupa sparatissimi, memori dei tempi nei quali i dischi dei Rotting Christ contenevano due soli tempi di batteria, e passaggi più lenti e atmosferici ottimi per evocare le antiche divinità olimpe. Non sarà niente di imperdibile ma, se anche voi amate il black metal di scuola ellenica, fatelo vostro e non ve ne pentirete. Restando in Grecia, ci sarebbe da parlare pure di Cassiopeia, seconda fatica dei Nightfall post-reunion ma, nel nome dell’affetto che ho provato per gli autori di Athenian Echoes, preferisco stendere un velo pietoso.

inquisitionINQUISITION – Obscure Verses For The Multiverse (Season Of Mist)

Su questo blog, a quanto pare, sono l’unico ad apprezzare gli Inquisition, che non hanno mai suscitato l’interesse nemmeno di Charles e Matteo Ferri, i quali, quando si tratta di black metal dalla provenienza geografica improbabile, non si fanno mai mancare niente. Obscure Verses For The Multiverse è però un mezzo passo indietro rispetto al precedente Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm. Il black epico del duo colombiano, fortemente debitore degli ultimi Immortal, è tornato ad appoggiarsi su strutture meno complesse e suona più ripetitivo, pur mantenendo la caratteristica vena melodica grim & frostbitten. I fan apprezzeranno comunque.

kayser_read_your_enemyKAYSER – Read Your Enemy (Listenable)

Uh, e questi che fine avevano fatto? Trattansi di una band fondata una decina d’anni fa da Spice, primo cantante degli Spiritual Beggars, insieme a qualche altro esponente più o meno illustre della scena svedese (tra i quali Mattias Svensson dei The Defaced). L’esordio Kaiserhof, classe 2005, non mi dispiacque, il successivo Frame The World… Hang It On The Wall, uscito l’anno immediatamente successivo, mi sfuggì. Per pubblicare un terzo album, il qui presente Read Your Enemy, ci hanno messo otto anni e il risultato si fa ascoltare. Power thrash muscolare e dal buon impatto, non troppo creativo (vengono in mente, tra gli altri, i Death Angel meno frenetici) ma tutto sommato gradevole, tra digressioni azzeccate (l’attacco stoner di Almost Home) e qualche caduta di tono (i ritornelli smielati alla Soilwork di pezzi come Dreams Bend Clockwise). Non vi cambieranno la vita ma, se apprezzate il genere, date loro una chance.

satanSATAN – Life Sentence (Listenable)

L’heavy metal ci avrà pure abituato negli ultimi anni a resurrezioni inattese di vecchi arnesi che non combinavano nulla dal secolo scorso, però rivedere in giro i Satan non me lo aspettavo proprio. Soprattutto considerando quanto i londinesi avessero fatto del complicarsi la vita un’arte. Ricapitolando brevemente, costoro esordirono nel 1983 con il megaclassicone Court In The Act, dopodiché, nonostante avessero il nome più fico della storia, decisero di cambiarlo per evitare controversie ideologiche e si reincarnarono nei Blind Fury (la storia è molto più complicata di così, sto provando a semplificare). Pubblicano un album due anni dopo e ritornano al vecchio moniker con Suspended Sentence nel 1987, per poi mutare nuovamente ragione sociale e andare avanti per un po’ come Pariah. Dopo tre dischi, i chitarristi Steve Ramsey e Graeme English, due spiriti – a quanto pare – piuttosto irrequieti, sciolgono i Pariah e danno vita ai più conosciuti Skyclad. Finché, un paio di anni fa, i due non decidono di farsi una bella rimpatriata con gli ex sodali, rimpatriata che ha fruttato questa piccola gemma di NWOBHM incontaminata come non la suonano più manco i Saxon. Chissà, magari avevano solo voglia di farsi due risate. Fatto sta che sono ancora in forma e ‘sto Life Sentence non è davvero niente male.

russian-circles-memorial-2013RUSSIAN CIRCLES – Memorial (Sargent House)

Deluso dalla svolta metallona intrapresa con Forever Becoming dai Pelican in seguito all’inattesa separazione da Laurent Schroeder-Lebec (che, a questo punto, suppongo dovesse essere l’anima indie del gruppo), ho trovato consolazione in Memorial, eccellente quinta prova dei Russian Circles, tra le migliori uscite postqualcosa del 2013. Rispetto alle opere passate, c’è un maggiore contrasto tra le parti più psichedeliche e i momenti più duri e post-hardcore; per il resto il trio di Chicago (che vede tra le sue fila Brian Cook, già bassista dei Botch) conferma il suo talento con otto tracce suggestive e sottilmente epiche, sorrette da una tecnica solida ma mai invadente (spicca il lavoro dietro le pelli dell’ottimo Dave Turncrantz). Ciliegina sulla torta la presenza di Chelsea Wolfe nella suadente title-track, l’unico brano cantato. Accattatevillo.

Windhand-290x290WINDHAND – Soma (Relapse)

Avevo scoperto il gruppo di Richmond con Reflection Of The Negative, split con i concittadini Cough (hanno pure lo stesso bassista), dei quali sembrano una versione meno eclettica e più passatista. I primi tre pezzi di Soma, secondo full dei Windhand, funzionano alla grande: doom fumoso e monolitico con voce salmodiante, scontato ma efficace, tipo degli Electric Wizard più old school. Quando si mettono a fare gli artisti (lo svarione hippie acustico di Evergreen, la mezz’ora e passa della conclusiva Boleskine) un po’ mostrano la corda. Però, se siete appassionati del genere, basta e avanza.

toxic_holocaust_chemistry_of_consciousness_1113TOXIC HOLOCAUST – Chemistry Of Consciousness (Relapse)

Se volete sapere come suona Chemistry Of Consciousness, prendete la recensione del precedente Conjure And Command e cambiate il titolo. Oddio, a voler essere proprio pignoli, il virulento thrash/hardcore della ghenga capitanata da Joel Grind si è fatto (sarà la produzione) leggermente più diretto e accessibile, tanto che anche i piccoli fan dei Municipal Waste potranno farsi un giretto sulla giostra degli americani senza il timore di spezzarsi il collo. Tutta questione di sfumature, intendiamoci, il quinto album del combo di Portland è l’ennesima allegra lesson in violence che vi farà svitare le vertebre cervicali a furia di headbanging, tra mid-tempo serratissimi, spietate accelerazioni, vocalizzi al vetriolo e una furia inesausta. I Toxic Holocaust restano poco più di un divertissement, con tutti i limiti di un’operazione che è e vuole essere nostalgica, ma nessuno fa questo genere di revival con la stessa cazzimma. In campo retro-thrash segnaliamo anche Manifest Decimation, promettente esordio dei Power Trip, glassati dalla consueta patina di lordura Southern Lord, Trapped In Perdition dei Fueled By Fire, debitori della seconda ondata Usa pestona dei vari Devastation e Demolition Hammer, e Unnatural Selection degli Havok, più vicini ai classici stilemi Bay Area. Arimortis.


Dan Lilker si ritira, si sciolgono i Brutal Truth

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Sulla pagina facebook ufficiale dei Brutal Truth è apparso un messaggio firmato da Dan Lilker con il quale il bassista annuncia il suo ritiro dalle scene e il conseguente scioglimento del gruppo. La leggendaria band grind smetterà ufficialmente di esistere il prossimo 18 ottobre, data che coincide con il cinquantesimo compleanno di Dan e fino alla quale i Brutal Truth continueranno a esibirsi dal vivo. Le ragioni della decisione sono legate all’età non più compatibile con la vita in tour. Un riposo meritato per un musicista instancabile e attivissimo (penso che neanche lui si ricordi tutti i progetti nei quali ha suonato) che, prima di scrivere la storia del grind con i Brutal Truth, visse da protagonista gli anni d’oro del thrash metal con Anthrax, S.O.D. e Nuclear Assault.

Lilker continuerà comunque a dedicarsi ai suoi side-project più estemporanei, quali i Nokturnal Hellstorm e i Blurring. Se vi siete persi le date italiane del mese scorso (a questo link il nostro report dello show di Roma), sarà quindi difficile rimediare, salvo apparizioni in festival estivi.

Qua e qua, se ve l’eravate persa, potete leggere l’intervista in due parti nella quale Dan ha ripercorso con noi tutta la sua intensissima carriera.

Di seguito il testo integrale del messaggio:

A Message From Dan Lilker

I regret to inform Brutal Truth fans that as of October 18th, 2014, I will be retiring from being a full time recording and touring musician. That date is my 50th birthday, so I chose it symbolically as a significant milestone to make such a weighty decision. As a lot of you know, I’ve been an active member of the metal scene since the early 80s with the thrash metal bands I’ve been in before the formation of Brutal Truth in 1990, and I’m simply just tired of the rigors of touring mostly. Unlike some of my peers from the 80′s who went on to sell millions of records I have always been drawn to extreme underground metal. I don’t care about staying in 5 star hotels and having a big cushy tour bus but I am getting tired of squeezing into a van for 8 hours after all these years on the road. I have always played what I believe in and that is been priority #1, but the time has come to have a little bit more stability in my life.

Brutal Truth will still be active on the touring front until mid-October and will aim to do as much as we can in the next 9 months or so. After that, I will still have creative output with my 2 local bands in Rochester NY, Nokturnal Hellstorm and Blurring and do the occasional project tour, but yes, as of mid-October, Brutal Truth will no longer exist. I do realize that will be an extreme disappointment to all the grind freaks out there that have supported this band so rabidly all these years, and your enthusiasm will always have a special place in my heart, but I’ve made my decision, and I hope everyone can respect that.

Please note that messages sent to the Brutal Truth facebook will not be answered as I do not have my own personal facebook page therefore I do not have access.

Thanks,
Dan Lilker


Adrenalina per massacrarvi di odio: intervista ai CRIPPLE BASTARDS

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L’intervista è lunga e densissima di spunti, quindi evito di amareggiarvi con uno dei flussi di coscienza dei quali tendo a cadere vittima quando parlo di gruppi ai quali sono particolarmente legato dal punto di vista emotivo e passo subito il microfono a Giulio, voce e mente dei Cripple Bastards, con il quale abbiamo parlato, tra le altre cose, dell’edizione rimasterizzata di Misantropo a senso unico e della gestazione di quello che resta uno dei dischi più dolorosi della storia del grind, di cinema di genere (sia italiano che serbo) e dell’imminente nuovo album Nero in metastasi

Vi ho visti dal vivo a Roma poco tempo fa. La scaletta, oltre che ovviamente da Misantropo, pescava molto da Variante, trascurando Desperately Insensitive. C’è una ragione precisa dietro questa scelta? Io vedo una sorta di continuità tra i due dischi, hanno entrambi una forte coerenza interna, come se il primo rappresentasse lo scontro con la realtà di una persona ancora troppo giovane per rassegnarsi del tutto allo schifo del mondo e il secondo esprimesse quella fredda e cinica accettazione della realtà che arriva con l’età adulta, un’accettazione che però rende meno indifesi, più capaci di contrattaccare, penso al testo di ‘”Sangue Chiama”’…

Per noi la continuità tra Misantropo a senso unico e Variante alla morte in una scaletta live sta nel fatto che entrambi gli album contengono pezzi molto dinamici e “nervosi” che riescono a tenere alto il livello di velocità e tensione senza abbassare mai la guardia. Desperately insensitive era un album di transizione, il primo che ci ha permesso di rodare la line-up che è andata avanti fino ad oggi, contiene svariati pezzi che abbiamo suonato dal vivo per un’eternità (“Being ripped off”, “Get out and bite them”, “When immunities fall”, “I hate her”) e altri che, pur avendo un buon impatto nel contesto di quel disco, riproposti live rischiano di frenare e “sedere” un po’ l’attenzione rispetto all’effetto valanga che vogliamo creare. Sul discorso invece più esistenziale tra Misantropo e Variante alla morte, io non ci sto a riflettere su più di tanto, ciascuno è lo specchio del periodo in cui è stato scritto e di quello che in quei precisi momenti mi andava di ritrarre, non è che uno ha più rabbia adolescenziale e l’altro è più riflessivo, semplicemente la vita va avanti e la realtà intorno si modifica, è naturale che uno non si fossilizzi sempre sullo stesso stile, gamma di parole e argomenti, se no diventerebbe un’imitazione di sé stesso.

Desperately Insensitive sembra invece un disco più vario e frammentato. Perché decideste di cantarlo quasi tutto in inglese? Peraltro i miei pezzi preferiti sono proprio quelli in italiano: ‘Odio a prima vista’ e ‘Partner della convenienza’, mi viene quasi da pensare che tu li abbia voluti cantare in italiano proprio perché sapevi che erano tra i migliori e che l’inglese avrebbe tolto loro forza…

desperately-insensitive-cripple-bastardsDesperately insensitive è un album scritto e registrato in una fase molto complessa e delicata nella storia dei CB. Da non molto avevamo radicalmente cambiato la line-up e con alle spalle il buon feedback che stava ricevendo Misantropo a senso unico la nostra attività live era diventata piuttosto fitta, iniziavamo a suonare a festival più di rilievo ecc… Insomma, c’è stato un momento in cui realizzare il terzo album era diventato indispensabile sia per consolidare il nostro legame come band rinnovata, sia per far vedere che non volevamo riciclarci su un revival dei tempi passati ma che eravamo proiettati verso il far crescere/maturare ulteriormente i CB a livello di stile e composizione dei brani. Sta di fatto comunque che i tempi stringevano tra tour e contratto con l’etichetta che avevamo allora, al che abbiamo messo insieme una serie di brani nuovi composti dal 2000 al 2002 (alcuni già presenti in versione molto più grezza sullo split EP con i Regurgitate), il riarrangiamento di qualche classico che suonavamo costantemente dal vivo (“Being ripped off”, “Get out and bite them”, “I hate her”) più il primo esperimento di brano con riff scritti da Der Kommissar (“Fear in the squats of the dead”). Per quanto riguarda invece i due brani in italiano che hai citato, è un po’ un’anomalia, sono testi scritti d’impulso poco dopo l’uscita di Misantropo a senso unico che volevo assolutamente includere su Desperately Insensitive, un po’ per un senso di rivincita/vendetta personale, e quindi, anche se l’intenzione era di fare un album interamente in Inglese, abbiamo poi deciso di tornare alla linea di Your lies in check con una minoranza in italiano per via di questa impellenza. Musicalmente “Odio a prima vista” e “Partner della convenienza” li avevo scritti tra il 2000 e il 2002 adattandoli sulla linea vocale, contenevano comunque riff che avevamo nel cassetto da anni. Insomma, Desperately insensitive è stato un po’ il convergere di varie esigenze e il consolidarsi attraverso disco della formazione nata allora e sopravvissuta fino ad oggi. Il punto debole di quell’album rivisto a distanza di 11 anni non sta tanto nella frammentazione compositiva dei brani quanto nella produzione, molto sintetica e all’Italiana. Quegli stessi brani con una registrazione più d’impatto (pensa ad esempio al Soundlab di allora), più vicina alla sfera di quelli che erano i CB dal vivo in quegli anni, avrebbe reso sicuramente meglio.

cripple_bastards_giulioCome è arrivata la decisione di rimasterizzare Misantropo? Quali sono le prime cose che ti vengono in mente se pensi al periodo in cui fu registrato il disco?

Non sono mai stato completamente soddisfatto del mix originale di Misantropo anche se indubbiamente è diventato così di culto. Sono sempre stato convinto che si potevano conservare quel suono, quella distorsione e quel grezzume portando alla luce un mucchio di dettagli che allora erano rimasti nascosti. Sia per quel che concerne la batteria, che per il muro di chitarra e basso. Conoscendo tutti i trucchi/accorgimenti che Alberto adottava in quel periodo, ero ad esempio conscio del fatto che un’intera linea di chitarra registrata in un modo molto particolare nel mix originale era rimasta soffocata. Insomma era sempre stato un sogno nel cassetto quello di provare a remixarlo ripartendo dalle tracce separate. L’occasione giusta è arrivata grazie allo studio cresciuto in parallelo alla FOAD Records, il Toxic Basement di Milano. Vedendo la cura e la passione per i supporti analogici che veniva impiegata da Carlo, il ragazzo che lo gestisce, ho pensato che fosse la persona adatta per seguire insieme a me questo lavoro, cercando solo di migliorare tutto quello che era stato negli anni apprezzato di Misantropo a senso unico senza snaturarne i suoni, la mole di distorsione e l’aggressività che lo caratterizzavano. Da qui segue una fase molto travagliata prima per recuperare le bobine dalla persona che l’aveva registrato, poi per trovare chi potesse ancora leggere quel particolare nastro, e molti altri ostacoli che non ti sto ad elencare. Ci sono voluti più di due anni per venire a capo di tutto il lavoro, e in alcuni momenti siamo stati vicini ad abbandonare il progetto. Il risultato finale secondo me è stupendo e ancora nessuno ci ha buttato in tavola la critica da die-hard sull’aver profanato il lavoro originale, proprio perché abbiamo dedicato una cura e un’attenzione maniacale a quelli che erano i suoni e la rabbia originale del disco. Affiorano molti dettagli in più e poi c’è l’aggiunta del bonus “Separati dal contagio” che mi ero completamente dimenticato fosse stato inciso su quelle bobine ed è stato una notevole sorpresa.
Tornando alla tua domanda, le prime cose che mi vengono in mente se penso al periodo in cui Misantropo è stato concepito… Beh, le difficoltà enormi nel trovarci e provare; la line-up di allora era già piuttosto divisa, abitavamo lontani (a parte io e Alberto). E poi tutta la negatività del contesto che ha motivato e fatto scaturire quei testi e quel genere di odio.

cripple_misantropo_reduxOggi quanto ti rivedi nel Giulio che scrisse quei testi? Ti fermi mai a riflettere su quanta gente vi si riconosca, su quanto quel disco significhi per parecchie persone?

Oggi come allora mi ritrovo al 200% in quell’album e quei testi, così come mi ritrovo in quelli di Variante alla morte e dell’imminente Nero in metastasi. Sono inevitabilmente frammenti di vita, riflessi di quel che ho intorno, non sto a farci su molta filosofia, ho scritto quel che mi veniva di scrivere in quel preciso momento spinto da determinate sensazioni e impulsi. Non un passo indietro. Su quanto Misantropo a senso unico possa aver dato input ad altre persone, quanti possano essersi riconosciuti in quei testi… Sì ci penso spesso, rivedo un po’ me stesso quando agli inizi mi ritrovavo nei testi di band come Negazione, Declino, Kollettivo… Credo che abbia a che fare col fatto che la rabbia, la disperazione e l’istintività allo stato brado, se incanalate attraverso una forma di espressione congeniale alla persona che concepisce, lascino inevitabilmente un segno. Io ho avuto la fortuna di sfogarlo attraverso i Cripple Bastards. Aggiungerei però il fatto che in moltissime circostanze mi sono trovato davanti a persone che questi testi li hanno interpretati e vissuti in modo distorto e lontano dai sentimenti originari, e sono contento di aver deluso le loro aspettative nel momento in cui si sono poi confrontate direttamente con me.

Nel libretto della prima edizione del disco appare la frase “In ogni boia c’è una parte di me”. Che significato vi davi, all’epoca?

Ha a che fare con una visione di quel senso di liberazione e mancanza di vincoli che si può provare nel momento in cui ci si trova ad arrecare del male agli altri senza ostruzioni dettate da leggi e morale, anche sul nuovo Nero in metastasi ci sono riferimenti molto marcati su quest’ottica di purificazione attraverso la violenza.

Perché il tema della copertina era il lancio di sassi dal cavalcavia, un’usanza che allora andava abbastanza di moda?

Cripple BastardsIn parte perché ci riportava indietro a pessime abitudini degli anni in cui da ragazzini avevamo dato vita ai Cripple Bastards, l’età che in seguito abbiamo ribattezzato come “Age of vandalism”, e in parte perché quella foto visivamente inquadrava bene il contesto in cui il disco è stato scritto e concepito, dopotutto i fatti di sangue legati ai lanci di sassi in quegli anni sono avvenuti non molto lontano da qui… Il grigiore delle nostre autostrade e l’assurdità della morte casuale di quegli episodi in qualche modo fanno pensare all’immaginario che si sviluppa attraverso i testi di Misantropo a senso unico, no?

Parliamo un po’ di film. Sei notoriamente un grande appassionato di horror e, più in generale, di cinema di genere. C’è qualcosa nel cinema horror attuale che ti piace e ti stimola? Che ne pensi della moda del torture porn che ha caratterizzato gli ultimi anni?

Non mi interesso gran che del cinema attuale e non seguo affatto il torture porn. Una volta ero lanciato verso la ricerca del “cosa ci può essere di visivamente più estremo”, oggi preferisco concentrarmi sulla bellezza dell’atmosfera, della fotografia e dell’espressività che avevano certi film di genere anni Settanta e Sessanta (ma anche libri), l’aspetto che avevano allora determinati scenari, da quelli degli spaghetti western a quelli ambientati nelle nostre metropoli… Insomma mi perdo su questi dettagli. Di film attuali, giusto per tenermi aggiornato, ogni tanto passo in rassegna questa marea di remake e prequel e ho apprezzato qualche horror francese e orientale uscito nell’ultimo decennio.

Sempre parlando di cinema di genere, non posso non chiederti come mai nella vostra iconografia ricorra l’immagine di Giulio Sacchi…

Sono sempre stato ossessionato da “Milano odia…” e mi identificavo molto in quel genere di violenza e gusto nero verso l’ingiustizia fine a sé stessa. Ai tempi il film non era affatto inflazionato/creditato e non era ancora stato riscoperto dall’ondata di revival sul cinema di genere italiano che c’è stata subito dopo, quindi come per la foto del sasso dal cavalcavia, alcuni screenshot di Giulio Sacchi si abbinavano benissimo all’immaginario di “Misantropo a senso unico” e per questo li abbiamo inseriti. Fuori dal contesto di “Misantropo a senso unico” non mi sembra che sia stato utilizzato su altre grafiche, a parte magari qualche t-shirt stampata all’incirca in quel periodo.

morituris_poster_01‘Stupro e addio’ fu inclusa nella colonna sonora di ‘Morituris’, al quale in Italia è stato addirittura negato il visto censura. Tu sei riuscito a vederlo? Se sì, che ne pensi?

Sì l’ho visto. Ho un’opinione positiva a riguardo ma il suo punto debole sta nella recitazione piuttosto scarsa di alcuni attori, e i dialoghi. La storia di per sé è interessante, così come i richiami ai vecchi horror italiani. Con una fotografia più anni 70/primi 80 avrebbe reso il triplo però..

Date le tue origini serbe, do per scontato che tu abbia visto ‘A serbian film’…

Non so per quale motivo ma quel film non mi ha detto assolutamente nulla e l’idea di presentarlo con quel titolo per ironizzare sul fatto che il mondo vede i Serbi sotto una determinata ottica sanguinaria e spietata, secondo me è azzeccato fino a un certo punto. Ho apprezzato di più altri film con quegli attori e in generale del vero cinema Serbo vi consiglio vivamente “Rane/Wounds”, “Lepa sela lepo gore”, “La polveriera”, “Do koske”, “Normalni ljudi” e andando indietro nel passato il favoloso epidemiologico “Variola vera” che ci ha ispirato moltissimo.

E di produzioni come ‘The life and death of a porno gang’ e‘Klip’ che ne pensi? Dicono qualcosa sulla Serbia su cui valga la pena soffermarsi o è roba autoreferenziale?

Il primo si lascia guardare, grottesco e paradossale al punto giusto. Il secondo ce l’ho ma devo ancora vederlo. Non sono certo questi film comunque a dare un’immagine sulla Serbia o inquadrare la mentalità e il contesto sociale di quel paese.

Negli ultimi anni la quota di metallari nel vostro pubblico è aumentata a scapito di quella legata al giro HC classico. Ciò vi ha reso meno soggetti alle simpatiche controversie ideologiche che vi hanno sempre reso la vita non semplicissima in certi ambienti? Personalmente, da metallaro ho sempre avuto problemi a relazionarmi con i rigidi codici che mi sembra governino la scena HC…

Sono argomenti che non ci toccano, se vivi non pensando a minuterie come queste, vivi meglio. Io non sto neanche a guardare la mole di pubblico HC o Metal perso/guadagnato attraverso gli anni, faccio quello che mi sento e lascio che le cose vadano per il loro corso naturale, le chiacchiere e i pregiudizi consumano il tempo e l’energia che una persona ha per apprezzare la propria esistenza.

cripple-bastards-nero-in-metastasi-promo-2013-570x570A tale proposito, ti dà ancora fastidio essere bollato come fascista, razzista, misogino, pastafariano o quel che è dalle zitelle bigotte del pensiero unico politically correct o non te ne fotte più niente?  

Non me ne sbatte un cazzo di niente, vivo la mia vita facendo quello che preferisco e nel modo che ritengo più appropriato. Se qualcuno lo ricollega erroneamente a una presa di posizione politica sta solo sprecando il tempo in chiacchiere, se la cosa non lo lascia dormire la notte o ci affronta e la risolve, o è destinato a esaurirsi nel tempo come tutti i nostri detrattori… Il nocciolo del discorso è get a life.

Del prossimo disco che mi dici, sia a livello musicale che lirico? Come siete arrivati al contratto con la Relapse?

Il nuovo album “Nero in metastasi”, in uscita a metà febbraio… Lo lascio un po’ a sorpresa sia a livello musicale che per quanto concerne i testi. Ti dico solo che, se hai trovato un filo conduttore tra Misantropo a senso unico e Variante alla morte, questo è lo step successivo di quella progressione, a livello compositivo è probabilmente il disco più sudato e sofferto in 25 anni di Cripple, a livello di testi anche quello più doloroso quando ci ripenso sopra, perché abbina il nostro solito occhio cinico sulla realtà a delle tematiche scomode e estremamente difficili vissute come al solito da molto vicino. Rientra anche un po’ la componente “testo vendetta mirata” che su Variante alla morte era passato in secondo piano rispetto a lavori precedenti. Stop!
Con Relapse siamo stati in contatto per una vita, già dagli anni Novanta quando c’era ancora Bill. Li abbiamo conosciuti di persona durante il nostro primo tour negli States e da lì ha gradualmente preso piede questa collaborazione. Siamo partiti poi nel 2006 con lo split 7” con i Sublime Cadaveric Decomposition fino ad arrivare al contratto vero e proprio nel 2010. Da lì il singolo Senza impronte e ora finalmente questo album (un brano dal quale, la devastante “Malato terminale”, potete ascoltare qui, nda).

Direi di chiudere l’intervista con il video di un pezzo turbofolk da dedicare ai nostri lettori, così ampliamo i loro orizzonti culturali.

Ma devo proprio? Va be’, Mile Kitic resta sempre un’icona:

Piuttosto, questi sono i link ai siti dei Cripple Bastards:

http://www.cripple-bastards.com

http://www.facebook.com/cripplebastards

http://www.relapse.com/label/artist/cripple-bastards.html

http://cripplebastards.bandcamp.com/

Merchandising ufficiale per l’Europa:

http://www.scareystore.com/cripplebastards

http://www.foadrecords.it


SATURNUS @Traffic, Roma, 9.01.2014

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saturnus

Come aveva giustamente riflettuto Trainspotting quando recensì Saturn in Ascension, la dimensione di relativo necroculto underground che ancora ammanta i Saturnus grida vendetta al cielo. Vedere una band così dotata sotto contratto con una piccola indie come la Cyclone Empire mentre etichette più blasonate come la Century Media continuano a eruttare sul mercato la peggiore munnezza è l’ennesima conferma di quanto questo derelitto pianeta vada nella direzione sbagliata. E i Saturnus sono i primi a saperlo, verrebbe da dire, dato che suonano come dei My Dying Bride stretti in un disperato amplesso sonoro con i Katatonia con una compilation neofolk di sottofondo (gioverà ricordare che la prima formazione dei danesi comprendeva addirittura Kim Larsen, factotum degli Of the Wand and the Moon, a loro volta uno dei nomi più sottovalutati del sottobosco strimpellante, anche per la loro scarsa propensione alle ambiguità ideologiche e alle stravaganze estetiche che di solito garantiscono copertura mediatica in tale scena). E invece no. I Saturnus sono degli affabili compagnoni giunti tra noi, come scopriremo in seguito, per diffondere l’amore, nientemeno. Sò danesi, sò più allegri, mica sò pijati a male come li norveggesi, ci spiega Mighi. E Mighi, come saprete, è la Cassazione: se lo dice lui, deve essere vero per forza. Del resto, avevo ben letto da qualche parte che i danesi sono le persone più felici d’Europa. Deve trattarsi quindi di una faccenda catartica alla Cannibal Corpse, che parlano di massacri e amputazioni e poi sono dei bonaccioni che non farebbero male a una mosca.

Arriviamo che sono già scesi dal palco i The Foreshadowing, dei quali avevamo fatto conoscenza al Romaobscura (la cui seconda edizione si svolgerà il 22 febbraio con i Primordial headliner). Le danze macabre sono aperte dalla bellissima Litany of Rain, brano d’apertura dell’ultimo full. Non c’è molta gente. Molti avranno preferito restare a casa a guardare la partita di Coppa Italia. Peggio per loro. Altri avranno temuto che le funeree melodie dei Saturnus li avrebbero potuti spingere a buttarsi nel primo strapiombo disponibile sulla via del ritorno. Apprensioni non giustificate, i membri del gruppo non fanno che sorridere e ringraziare un Traffic non gremito ma affettuoso. Si rivanga subito il passato con I Love TheeSoftly on the Path You Fade che, nel contesto, rivela una solarità inattesa. Non è un genere di musica facile da riprodurre dal vivo, i Saturnus te li ascolti in una fredda giornata invernale barricato sotto le coperte in preda a sconfortate riflessioni sulla vanità delle cose terrene. Suonano precisi e puliti; come sul disco, si suole dire in questi casi. Bisogna entrare nel mood, lasciarsi trascinare dal profondo growl di Thomas Jensen e cercare di non fare troppo caso alle loro facce gioviali. La scaletta è ben calibrata, pesca in modo equilibrato da tutta la discografia in modo da esaltare le diverse sfaccettature di un sound sulla carta derivativo, nei fatti personalissimo. A metà show usciamo per cedere al richiamo del tabagismo. Mentre stendo con Charles e Mighi i piani di battaglia per l’Hellfest, sentiamo il gruppo interrompersi all’improvviso. Troppo all’improvviso perché si possa trattare di un problema con le spie. Rientriamo e ci raccontano che un energumeno random si era messo a menare senza motivo un tizio delle prime file. Le ultime cose che immagini possano accadere a un concerto dei Saturnus. Non eravamo presenti, ma ci hanno raccontato che l’energumeno era stato poi portato via a braccia dal locale e che Thomas aveva commentato: why are you fighting? We’re here to spread love! Ci godiamo la seconda parte della scaletta. I Long e Murky Waters sono così ammalianti che ti fanno dimenticare che il titolo dell’album dal quale sono tratte (Veronika Decides to Die) è tratto da un libro di Coelho. Anche se so già che chiuderanno con la splendida Christ Goodbye, grido lo stesso CHRIST GOODBYE!, mia hit personale. E invece non è finita qua. Thomas chiede al tipo vittima dell’incidente quale canzone gradirebbe sentire. Lui risponde Pretend e loro gliela suonano. Finito il pezzo, Thomas lo abbraccia.

Scaletta:

Litany of Rain
I Love Thee
Softly on the Path You Fade
A Father’s Providence
Wind Torn
Empty Handed
Inflame Thy Heart
Forest of Insomnia
Murky Waters
I Long
Christ Goodbye

Pretend (bis)


Combattere l’insonnia con i CYNIC

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woman-sleeping

È sempre molto facile marciare sul complesso di inferiorità che molti metallari covano nei confronti di generi come il jazz e il progressive, però ai Cynic non riesco a farne una colpa più di tanto, e non solo per la stima imperitura che dobbiamo loro per aver partorito nel 1993 quel capolavoro di Focus. Paul Masvidal e Sean Reinert si erano resi conto già subito dopo lo scioglimento che a loro l’heavy metal non interessava più. Dimostrando coerenza, misero su una nuova band chiamata Portal e sottoposero la demo alla Roadrunner, che rispose loro picche. Siccome accà nisciuno è fesso, dieci anni dopo si ripresentarono con dei pezzi che erano più o meno la stessa roba che avevano composto con i Portal, però riesumando il vecchio marchio. Che nella vita bisogna essere un po’, ehm, cinici. Infatti stavolta beccarono subito un nuovo contratto, nel 2008 arrivò Traced In Air e tutti si sentirono in dovere di parlarne bene. Non che fosse un brutto album, per carità. Però se invece che come Cynic si fossero fatti il giro delle case discografiche come, che so, The Sarchiapons, col cavolo che la Season of Mist li avrebbe fatti firmare, sperando di poterli contrabbandare ai metallari.

Gli svarioni etnici da sushi bar dell’ep Carbon-Based Anatomy, pubblicato due anni fa, mi avevano lasciato l’amaro in bocca, nonché la certezza incrollabile che dei Cynic non mi sarebbe più fregato nulla, nonostante il ritorno di Sean Malone, che è sempre un bel sentire. Nei giorni scorsi sono usciti due pezzi di anticipazione di Kindly Bent To Free Us, il terzo full che sarà fuori a febbraio: la title-track, che potete ascoltare a questo link, e The Lion’s Roar, del cui lyric video potete fruire qua sotto. Sono decisamente meglio dei brani dell’ep, in un paio di passaggi strizzano l’occhio al passato, dopo qualche ascolto svelano anche spunti interessanti e sono formalmente perfette (e ci mancherebbe), tuttavia non mi hanno detto assolutamente nulla. Non capisco cosa stiano cercando di fare o, più, probabilmente non mi interessa capirlo. Il limite è quindi mio, a voi magari faranno impazzire. Il problema però non è questo. Il problema è che ne scriveranno tutti perché là sopra c’è scritto “Cynic” e tutti si sentiranno in dovere di parlarne bene per il terrore di passare per ignoranti.


Avevamo dato i THE HAUNTED per morti. Ci eravamo sbagliati

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Swedish+fan+holding+the+flag+in+Kiev

Non avrei scommesso un dollaro dello Zimbabwe su un ritorno dei The Haunted, che nell’autunno 2012, dopo essersi separati in maniera ben poco amichevole da Peter Dolving (che aveva rilasciato dichiarazioni piuttosto pesantucce al riguardo), avevano visto il batterista Per Møller Jensen e il chitarrista Anders Björler gettare la spugna simultaneamente, lasciando l’altro gemellino, il bassista Jonas Björler, e l’altro chitarrista, Patrik Jensen, soli soletti a raccogliere i cocci. Io, che sono un inguaribile dietrologo, mi stavo già rassegnando a vedere gli At The Gates pubblicare un nuovo album di inediti, anche perché Tompa, nel frattempo, aveva fatto sapere di non essere per nulla contrario all’idea (Lucifero ce ne scampi e liberi). E invece, piano piano, i due superstiti sono riusciti a rimettere in piedi la baracca, richiamando a bordo sia Marco Aro (che cantò nel periodo successivo al primo allontanamento di Dolving e si era fatto da poco rivedere in giro con gli interessantissimi The Resistance, la nuova band di Jesper Strömblad) che Adrian Erlandsson, l’uomo che aveva aperto nuove frontiere della sospensione di incredulità dilapidando il credito accumulato grazie a Slaughter Of The Soul con la sua carriera da figurante nei Cradle Of Filth e che negli ultimi tempi aveva trovato pace suonando la batteria per i Paradise Lost. All’altra chitarra è arrivato invece Ola Englund dei prolifici quanto noiosetti Feared, che l’anno scorso aveva, chissà perché, fatto capolino pure nella line-up di Unborn dei Six Feet Under.

A mo’ di test per la nuova formazione, è appena uscito un nuovo singolo e – sapete? – non è davvero niente male. Come prevedibile, l’ammorbidimento di album come The Dead Eye e Unseen (che a me non era manco dispiaciuto) è stato lasciato alle spalle. Eye of the Storm potrebbe tranquillamente essere uscita da uno dei dischi dell’epoca Aro. Le influenze thrash/hardcore restano sullo sfondo: ariose melodie svedesi, un bell’assolone, ritornello che ti si stampa in testa al primo ascolto. Come B-side troviamo la più pestona The Infiltrator e My Enemy, incazzatissima scheggia di meno di un minuto. Li avevo dati per morti. Lieto di essermi sbagliato.

Ultim’ora: a quanto pare ci eravamo sbagliati anche a escludere l’ipotesi di un nuovo disco degli At The Gates. Guardate che è uscito sul canale youtube ufficiale della band…



Entombedgate: come è andata a finire

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L’addetto stampa della Century Media prova a fornire una ricostruzione credibile della vicenda

Ci eravamo lasciati lo scorso settembre con la clamorosa uscita di Alex Hellid dagli Entombed, ridotti di conseguenza a una cover band con Lars Goran Petrov alla voce. La pubblicazione del nuovo album Back To The Front,  che sarebbe stato scritto (da chi?!?) e registrato senza il chitarrista, venne rimandata in attesa che la situazione si chiarisse. Dei motivi della separazione non è finora trapelato nulla. Si era già però intuito che a spuntarla per i diritti sul nome fosse stato Hellid (unico membro presente su tutti i dischi del gruppo), che più o meno contemporaneamente aveva annunciato per il 1 febbraio un’esecuzione dal vivo di Clandestine con l’orchestra insieme ai vecchi compagni d’arme Ulf Cederlund e Nicke Andersson, riuniti sotto il marchio Entombed per la prima volta da diciassette anni. Intuizione rivelatasi corretta. La Century Media ha infatti annunciato che Back To The Front verrà pubblicato con il moniker Entombed A.D., con il quale Lars e i suoi amichetti continueranno a esibirsi dal vivo. Il concerto di Gävle del 1 febbraio è stato intanto confermato, solo che l’ultimo comunicato a riguardo non menziona, ahinoi, il nome di Andersson. In compenso, per la voce, è stato riesumato dalla tomba nientemeno che Orvar Säfström, che aveva cantato come session sull’ep Crawl e poi aveva pressoché abbandonato la carriera musicale, diventando uno dei critici di cinema e videogame più celebri di Svezia (o almeno così leggo su Wikipedia). Un’ospitata amichevole o l’embrione di una nuova formazione? Lo stesso Alex ci aveva raccontato di essere a buon punto con la stesura di nuovo materiale firmato Entombed, che non dovrebbe però essere finito su Back To The Front, dai cui credit Hellid è del tutto assente… Si vedrà. Per il momento, va dato atto a entrambe le parti in causa di aver mantenuto un ammirevole riserbo sulla faccenda, evitando scambi di accuse o patetiche piazzate come quelle di cui si sono resi protagonisti i Queensrÿche. Almeno per ora.

C’entra nulla ma, già che siamo in Svezia, guardate il video che hanno diffuso ieri gli At The Gates… Avevo pensato che la resurrezione dei The Haunted avesse allontanato del tutto un’ipotesi del genere e invece il tanto paventato nuovo disco alla fine mi sa proprio che uscirà… Non sono per niente bravo con le previsioni.


Skunk Jukebox: a little south in your mouth

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Jordan Carver cowgirl photoshoot (5)

Bene, ora che ho la vostra attenzione, possiamo finalmente parlare di musica

Tette, alcolismo, droga, volgarità e tanta ignoranza redneck: i NASHVILLE PUSSY sono davvero uno dei gruppi migliori della storia, sia musicalmente che concettualmente. Sono l’ideale colonna sonora dei racconti più grotteschi di Lansdale e, come il vecchio Joe, se non vi piacciono, forse c’è qualcosa che non va nella vostra vita, in questo momento. Proprio in questi giorni è uscito il loro nuovo disco Up The Dosage, che sarà sicuramente una ficata come i precedenti. A questo indirizzo potete ascoltare un nuovo brano, Everybody’s Fault But Mine (l’autoindulgenza è una componente fondamentale della mentalità sudista) e un frammento di un secondo pezzo dal meravigliosissimo titolo The South’s Too Fat To Rise Again. A febbraio Blaine e la sua cricca suoneranno tre date in Italia a Milano, Bologna e Roma, rispettivamente il 22, il 23 e il 24 del mese. Vietato mancare. Nel frattempo indossate il vostro cappello di procione e scatenatevi al ritmo di Pillbilly Blues:  

E già che si parlava di alcol e droga, continuiamo a caricarci con il video festaiolo del nuovo singolo degli SPIRALARMS, intitolato per l’appunto Drugs & Alcohol. Il sestetto di San Francisco è capitanato nientemeno che da Craig Locicero degli ormai pressoché sciolti Forbidden, che, evidentemente, aveva voglia di svagarsi un pochino. Prego, maestro:




E restiamo a crogiolarci al sole della Bay Area con i GENERATION KILL, progetto di Rob Dukes degli Exodus, che invece, maledetti guastafeste, se parlano di droga è per metterci in guardia sulle tribolazioni che infligge alle giovani generazioni (come quando finisce, per esempio). Cliccando qua potete trarre gli ammaestramenti del caso dal video di Vegas, storia di una sgallettata che trascorre un ameno weekend a, per l’appunto, Las Vegas, inizia a sballarsi di crystal meth (argomento diventato molto popolare sulla scia del successo di Breaking Bad) e finisce a fare la bottana. Il disco dalla quale è tratta si chiama We’re All Gonna Die. Grazie per avercelo ricordato, Rob. Mo’ me lo segno.

Ma vi vedo intristiti:

jordan_carver_cowgirl

Mors est non esse. Id quale sit iam scio: hoc erit post me quod ante me fuit.

Grazie, Seneca. Ok, ora che vi ho tirato su di morale grazie all’antica saggezza degli stoici, vi presento i MOS GENERATOR, barbuto power trio di Bremerton, Washington, che sento nominare oggi per la prima volta ma scopro stare in giro da una decina di anni e passa. Bei chitarroni groovosi per questo cocktail extraforte di doom classico e stoner con una spruzzatina di metal classico. Estemporanei ma graziosi. Il brano di cui sotto è la title-track della loro imminente quinta fatica, che uscirà a marzo per Listenable.




E proprio l’etichetta francese, pur mantenendo una vocazione death, ultimamente sta allargando le sue attenzioni a un genere che sarà anche diventato di tendenza ma, nonostante l’attuale sovrabbondanza di uscite, continua a mantenere standard qualitativi incredibilmente alti. Spariamoci quindi la sfasciosissima Knock You Out degli inglesi BLACK SPIDERS, che mantiene anzichenò le promesse del titolo e proviene dal loro secondo lavoro This Savage Land. Un’altra birra, tesoro, grazie:




Non hanno invece bisogno di presentazione alcuna i sempre gagliardi SUPERSUCKERS, anch’essi nel novero dei gruppi migliori del mondo™ (anzi, furono proprio loro a definirsi “The Greatest Rock ‘n’ Roll Band in the World” e, secondo me, un po’ di ragione ce l’hanno), che ci fanno sbattere il piedino forte forte con questo estratto da Get The Hell, nuovo album in uscita a fine mese e da me attesissimo, dato che questi qua in passato erano prolifici come una coppia di conigli neocatecumenali ma mo’ era da Get It Together del 2008 che non facevano uscire una cippa. Nel rock’n'roll la vera grandezza fa sempre rima con semplicità e immediatezza. Ditemi se sbaglio:




Un altro gruppo che non tradisce mai sono i GRAND MAGUS, che, per un motivo o per un altro, non ci siamo mai filati più di tanto su questi schermi ma che continuano a fare sempre meglio. I primi dischi degli svedesi non mi hanno mai fatto impazzire. Dal progressivo abbandono della componente doom hanno però guadagnato parecchio e oggi, di fatto, si sono trasformati in un gruppo epic metal classico dai ritmi in levare, con risultati notevolissimi. Alziamo dunque i pugni con Triumph And Power, title-track del loro settimo full. Alla batteria, dopo il forfait di Seb Sippola dovuto a motivi familiari, è arrivato Ludwig Witt, già compagno del frontman JB Christoffersson negli Spiritual Beggars. Un altro nuovo pezzo, l’altrettanto bella Steel Versus Steel, è fruibile a questo link.




E ci salutiamo con il nuovo video degli adorabili STEEL PANTHER. Non è ai livelli di quello girato per il primo singolo Party Like Tomorrow Is The End Of The World, dove c’erano Ron Jeremy che sniffava coca dalle tette di una e Walter Jr. di Breaking Bad che si vomitava addosso, ma è comunque grazioso assai. All You Can Eat uscirà il 1 aprile e conterrà nuovi inni alla sobrietà e al veterofemminismo come Glory Hole, Bukkake Tears e You’re Beautiful When You Don’t Talk. Con titoli del genere, come non amarli.


AT THE GATES: è ufficiale, in autunno il nuovo album ‘At War With Reality’

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At-the-Gates

Quello che i due brevi video diffusi nei giorni scorsi sul canale youtube del gruppo avevano lasciato intendere è stato confermato da un comunicato ufficiale: in autunno gli At The Gates pubblicheranno su Century Media At War With Reality, il primo album in studio dal 1995, anno di uscita di Slaughter Of The Soul.

‘Perché fare un nuovo album e farlo adesso?’ vi potreste chiedere – si legge nel comunicato – Ebbene, quello che abbiamo imparato negli ultimi anni, uscendo e suonando insieme, è che amiamo incredibilmente quello che facciamo. Amiamo suonare musica insieme e amiamo frequentarci come amici. Ma, da musicisti, scriviamo di continuo nuova musica. È una parte enorme della nostra identità“. Come ricorderete, il tour d’addio del 2010 avrebbe dovuto essere un’esperienza isolata. Poi, come commentò sarcasticamente Peter Dolving mentre i The Haunted andavano, nel frattempo, a puttane,  è diventato un tour d’addio che dura ormai da quattro anni. Restava, però, ferma la promessa di non tornare mai più in studio. “Siamo pienamente consci di aver rilasciato delle dichiarazioni piuttosto drastiche in passato ma le cose cambiano, le situazioni cambiano e la gente cambia”, si giustificano ora. Chi siamo noi per giudicare, per carità.

Quando Anders Björler ci mandò il primo pezzo l’estate scorsa, avevamo zero aspettative sul risultato. Sapevamo una cosa sola: suonava fantastico! – prosegue la band – All’epoca non eravamo nemmeno sicuri che ci sarebbe stato un album ma, mentre le cose andavano avanti, nacquero nuove canzoni e sapevamo di avere in mano qualcosa di grande”. Adesso sappiamo tutti perché, ora che i The Haunted si sono rimessi in piedi, il chitarrista è rimasto fuori dalla partita. Quanto al nuovo materiale, viene descritto come un “perfetto mix tra i primi At The Gates e Slaughter Of The Soul”. Secondo i piani attuali, At War With Reality dovrebbe essere registrato tra giugno e luglio per poi essere pubblicato entro novembre.

Forse non sono la persona più adatta a tentare di analizzare la questione con oggettività, dato che Slaughter Of The Soul è uno dei cinque dischi che mi porterei sulla proverbiale isola deserta. Quel che mi permetto di dire è che, in questo caso, la componente di azzardo è forse addirittura superiore a quella che ha caratterizzato le reunion di Black Sabbath e Carcass, autori l’anno scorso di due album che, comunque la pensiate, hanno superato in volata le aspettative più ottimistiche. Tony Iommi non aveva mai smesso di scrivere ottima musica, come aveva dimostrato di recente con il disco degli Heaven & Hell, e l’annuncio che 13 sarebbe stato prodotto da Rick Rubin era stato, per quanto mi riguarda, sufficiente a dissipare buona parte dell’apprensione. Quanto ai Carcass, per tutta una serie di ragioni che ora non sto a sviscerare, era davvero difficile dubitare che Walker e Steer si sarebbero cimentati in un Lp se non fossero stati sicuri del risultato. Gli At The Gates, invece, si erano imbarcati in quello che doveva essere un tour d’addio e quel tour d’addio dura, per l’appunto, ormai da quattro anni. Se ne erano andati subito dopo aver pubblicato un capolavoro che gli anni successivi consolideranno come uno dei vertici espressivi più alti mai toccati dal metal estremo, che ha avuto un’influenza incalcolabile sulle generazioni successive. Si sono sentiti con un credito da riscuotere. E perché questa seconda giovinezza duri serve un nuovo disco. Ecco, non vorrei peccassero di ὕβϱις.


La gente non sa cosa si perde: i SABATON fanno un concerto in una sala spinning

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Che l’heavy metal fosse la musica ideale per fare attività fisica ve lo avevamo già spiegato noi con la nostra mitologica top ten dei dischi da palestra di Metal Skunk. A fare ulteriore opera di proselitismo ci hanno pensato i Sabaton, che lo scorso 25 gennaio hanno tenuto un concerto durante una lezione di spinning presso una palestra di Falun, loro città natale. Lezione alla quale hanno preso parte attivamente tutti i membri del gruppo power metal svedese (a parte, ovviamente, il batterista), suonando e pedalando contemporaneamente. Che i metallari mica sono tutti birraioli panzoni che conducono uno stile di vita debosciato. Anzi, i Sabaton quando non sono in tour vanno in palestra tutti i giorni, ha spiegato la band al Dala-Demokraten, quotidiano di Falun di orientamento socialdemocratico che, abbiamo scoperto, dedica loro uno spazio abnorme, dimostrando quanto la comunità cittadina sia, giustamente, orgogliosa dei Sabaton. Se andate sull’homepage del giornale in questo momento, ad esempio, vedrete svettare un video dove il bassista Pär Sundström e il cantante Joakim Bróden (unici membri superstiti della formazione che ha registrato due anni fa il notevole Carolus Rex, dopo il quale chitarristi e batterista se ne sono andati per dare vita ai Civil War) spiegano – se google translator  non ha fatto troppo casino – che ora che l’aeroporto di Dala è aperto pure la domenica potranno atterrare anche gli aerei privati, una notizia che ci ha decisamente svoltato la giornata. I titoli di apertura, invece, riguardano la caccia al lupo e la nuova normativa sulle droghe leggere. Non c’è manco un pezzo su, che so, la Siria. L’unica notizia internazionale riguarda le accuse di molestie contro Woody Allen. Del resto, se vivi in una città dove i Sabaton suonano durante le lezioni di spinning, che motivi hai di curarti di ciò che accade nel resto del mondo.

Purtroppo ci sono solo questi due brevi video a testimonianza dell’irripetibile evento. Probabilmente domenica prossima il Dala-Demokraten uscirà con il Dvd del concerto in allegato e in questo momento mezza redazione sarà impegnata nella stesura del commento audio.





Il principe Harry è un metallaro ubriacone

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Prince Harry Visits RAF Honington

“Adesso metto ‘War Ensemble’ a palla e secco un po’ di quei fottuti trombacammelli”

Il mio membro preferito della famiglia reale inglese è indubbiamente il principe Harry, altro che quella fighetta del fratello maggiore. Harry è un vero duro, il classico aristocratico dissoluto che tutti avremmo voluto come compagno di università, quello che il venerdì notte paga troie e cocaina a tutti e nei locali, se pensa che qualcuno ti stia guardando male, va a sfasciargli una bottiglia in faccia così, di punto in bianco. Tanto, pure che arriva la polizia, vagli a cacare il cazzo al Principe di Galles. A me piacerebbe tanto poter uscire col principe Harry, la sera. È uno che sa come ci si diverte. A 17 anni finì sui tabloid per essere stato beccato a fumare erba e ubriacarsi (nel Regno Unito i minorenni non possono bere) che, ok, lo facevamo anche noi a quell’età, però un conto è se lo fai a Cagliari in piazzetta con la cricca del Bastione, altra cosa se sei il fottutissimo principe di Galles che, vaffanculo sbirro, ringrazia che siamo nel ventunesimo secolo, sennò ti avrei fatto scorticare e bollire vivo insieme alla tua famiglia. Le sue avventure successive includono risse con paparazzi, feste con modelle nude a Las Vegas e simpatiche zingarate da vero buontempone, come quando si presentò a una festa di carnevale indossando una divisa dell’Afrika Korps con tanto di svastica al braccio. Ha pure senso dell’umorismo, il nostro Harry. Con lui, il weekend, sì che ci si ammazzerebbe dalle risate.

Va detto che fin qui si tratta di bravate delle quali qualunque giovin virgulto d’alto lignaggio – forte della LEGITTIMA impunità che GIUSTAMENTE gli deriva dal sangue blu – si potrebbe rendere protagonista. Ma qua, ragazzi, stiamo parlando del fottutissimo principe di Galles, mica di un imbelle debosciato rammollito dagli agi e dalla noia di vivere. Harry è un vero Manowar, un condottiero che è stato in prima linea a combattere i nemici dell’Occidente. Inizialmente voleva andare in Iraq, e non per restarsene nelle retrovie. “Non esiste che io me ne stia seduto sul mio culo mentre i miei ragazzi sono fuori a combattere per il loro Paese“, aveva dichiarato all’epoca alla Bbc. Alla fine lo mandarono in Afghanistan, pensando fosse meno pericoloso. Elicotterista, come il suo zio duca di York alle Falkland. E, mentre solcava i cieli sul suo Apache a caccia di talebani, probabilmente si sparava in cuffia una War Ensemble o una Holy Wars. Già. Perché, se non vi ho dato già abbastanza motivi per convincervi che il principe Harry sia una delle persone più fiche sulla faccia della Terra, sappiate che è pure un metallaro. E non un poser amante degli Opeth o degli In Flames, bensì un cazzutissimo thrasher. Lo ha rivelato al Daily Star l’attore Dominic West, che ha accompagnato Harry durante una recente spedizione di beneficenza al Polo Sud (the coldest place of all), al termine della quale l’allegra compagnia si sarebbe sbronzata a champagne per 48 ore utilizzando come calici delle gambe ortopediche appartenenti a un membro dell’allegra brigata.

Harry ha una selezione incredibile sul suo iPod, il genere di cose che ascoltano i soldati: hardcore thrash metal“, ha raccontato West. Ma mica i Drowning Pool come un marine qualsiasi. Harry è un reale d’Inghilterra, non uno zotico yankee semianalfabeta. Infatti, scrive il Daily Star, il nobiluomo si sente roba come Metallica, Megadeth, Slayer e Anthrax. Avete capito quanto spacca il culo il fottutissimo principe di Galles? A noi invece, se ci fossimo tenuti i Savoia, oggi sarebbe toccato come principe quel mentecatto che fa la pubblicità delle sigarette elettroniche ed era andato a San Remo ad amareggiare il suo popolo con una canzone di merda la cui melodia era, oltretutto, copiata da Somewhere Over The Rainbow. Ditemi voi se possiamo mai essere una nazione seria. Invece Harry, ci dice sempre West, al Polo Sud teneva alto il morale dei suoi uomini raccontando divertentissime barzellette sporche (che compagnone, il nostro Harry) ed era pure bravissimo a costruire cessi da campo in tempi record, un’altra dote che farebbe assai comodo durante una scampagnata. Ci piace pensare che, mentre li montava, sorseggiando Moët Chandon da una gamba ortopedica, canticchiasse tra sè e sè questo pezzo:

Non so voi ma io, se fossi un suddito di sua Maestà, non ci penserei due volte a organizzare una congiura di palazzo per metterlo sul trono.


Lezioni di civiltà: intitolata una rotatoria a Jeff Hanneman in Polonia

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Nei giorni scorsi è nata una sorta di polemica in Usa perché Jeff Hanneman (che avrebbe compiuto 50 anni il 31 gennaio) non è stato ricordato durante la sezione In Memoriam dei Grammy Awards, dedicata ai musicisti scomparsi nel corso dell’anno (laddove sono stati invece menzionati, per la cronaca, Clive Burr e Jan Kuehnemund delle Vixen). A rimediare (che poi, alla fine, chi se ne sbatte dei Grammy) ci ha pensato dall’altra parte dell’Atlantico la Art-Com, un’azienda polacca, attiva in campo informatico, che, all’asta di beneficenza natalizia della fondazione Wielka Orkiestra Swiatecznej Pomocy, si è aggiudicata per un anno la gestione della rotonda stradale del centro di Jaworzno, città della Slesia non lontana da Katowice. I titolari dell’azienda, insospettabili adepti del maligno, hanno deciso di intitolare la rotatoria allo scomparso Emissario del Male Assoluto™. Due giorni fa si è svolta l’inaugurazione, durante la quale è stato posto al centro della rotonda un cartello con doppia iscrizione – in inglese e in polacco – dedicata all’“indimenticabile chitarrista degli Slayer”. Sicuramente gli automobilisti che la attraverseranno presteranno particolare attenzione perché, se fai il botto sulla Rotatoria Jeff Hanneman e ci resti, finisci dritto dritto all’inferno senza manco passare per Minosse. Il ricavato dell’asta verrà impiegato per acquistare macchinari destinati all’assistenza medica di anziani e bambini. Di seguito le foto della solenne cerimonia e un servizio di due minuti trasmesso dal telegiornale locale:

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Un altro mondo è possibile.


Skunk Jukebox: when the gunslinger takes his piece

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Noi anziani ci si distrae facilmente. Tra un nuovo disco degli At The Gates in arrivo, una reunion dei Centinex (evviva!) e i Massacre (senza Kam Lee, ma quello è una causa persa) il cui ritorno attendiamo con benevola curiosità pur non aspettandoci nulla di che (a proposito, se non avete ancora sentito il brano in anteprima da Back From Beyond, date una cliccatina qui), non è sempre facile seguire con costanza e interesse cosa sobbolle nell’underground estremo. Ogni tanto tocca quindi fare un salto nei bassifondi, che sennò si rischia di perdere qualcosa. Indossiamo la muta e tuffiamoci a testa bassa in un mare di budella:

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Oh, the gunslinger

Gaio Aurelio Valerio Diocleziano era una brava persona. Il suo zelo nel perseguitare la religione cristiana non ce lo può non rendere simpatico. E proprio dall’imperatore responsabile della (purtroppo) ultima grande persecuzione degli adepti dell’hippie di Nazareth traggono il nome i DIOCLETIAN, gruppo neozelandese oscuro ma niente affatto disprezzabile, che ci ammannisce un’anticipazione dal loro terzo album Gesundrian col nobile intento di far cascare dal calendario più santi possibile. Black/death scrauso (qualcuno, a parte Luca Bonetta, si ricorda degli Angelcorpse?) e prodotto alla cazzo di cane, per non smentire la fama della Osmose, la gloriosa etichetta francese che, ahinoi, negli ultimi anni ha combinato ben poco. Oh, a me ‘sta roba piace, che ci posso fare:

A cavallo tra death e black (più il primo che il secondo) barcollano anche i LAY DOWN ROTTEN, un altro gruppo che non si incula mai nessuno ma, pur non facendo miracoli, è molto meglio di tanta altra roba che trovate sull’homepage di Blabbermouth. Sono crucchi e si sente. Poco fantasiosi ma quadrati, buone melodie, pezzi ben costruiti, mestiere impeccabile. Non cambieranno la vita a nessuno ma ci sanno fare. Mi ricordano una versione low cost dei sottovalutatissimi God Dethroned, il che è più o meno un complimento. A voi la title-track dell’imminente Deathspell Catharsis:

Su territori non distantissimi si muovono gli svedesi VAMPIRE, che come nome non se l’era ancora pigliato nessuno perché pareva troppo cretino ma prima o poi doveva capitare. I ragazzi, nascosti dietro soprannomi altrettanto deficienti come Hand of Doom e Black String (che sarebbe il chitarrista, se non s’era capito), pestano, cacciano gli ugh alla Celtic Frost ma i riff sono banalotti e la cattiveria è addomesticata. Li salva giusto il break melodico a fine pezzo, siccome sono di Goteborg. ‘Sti giovani d’oggi. Eppure la Century Media – che produrrà il loro esordio – sembra crederci parecchio. Boh:

Torniamo in Nuova Zelanda a farci un sifone con gli 8 FOOT SATIVA, la cui passione per la marijuana (anche loro come moniker non scherzano) li ha portati a pensare che fosse una cosa perfettamente naturale e plausibile suonare death svedese in Oceania. Eppure, pur con tutti i limiti del mondo, non sono mai stati male, anzi, il loro terzo album Breed The Pain era tra i pochi decenti che avevamo inserito nel montepremi di dischi di merda del nostro meravigliosissimo concorso per trovare un nuovo nome al blog. Anche l’ultimo The Shadow Masters (di seguito il simpatico video a cartoni animati anticapitalista della title-track) li conferma in ottima salute. Fanno un genere inflazionatissimo ma i pezzi li hanno:




Nonostante, sulla carta, abbiano tutti i requisiti per essere un mio gruppo feticcio, i NOCTURNAL BREED non mi hanno mai fatto impazzire, forse perché, suonando più o meno lo stesso genere, hanno sempre fatto scattare in me paragoni automatici con i connazionali Aura Noir, dei quali sono invece un sostenitore sfegatato. Avevo dato i norvegesi per dispersi dopo The Tools of the Trade. Invece scopro che nel 2007 era uscito un altro full, al quale fa seguito oggi Speedkrieg, del quale ci ascoltiamo la title-track:

Il rutto a fine pezzo ne alza di parecchio le quotazioni ma il loro blackthrash con pesanti influenze ottantiane non suona ignorante come dovrebbe, sentore confermato dall’altra anteprima che sta girando (The Devil Swept The Ruins, in streaming sul solito tubo). Forse ora sono andati a convivere e le fidanzate non li fanno più ubriacare come una volta, che so.

Non seguivo da un po’ manco i BENIGHTED, che persi di vista ai tempi in cui stavano ancora sotto contratto con l’altra grande etichetta d’Oltralpe, l’Adipocere. Di particolare hanno sempre avuto l’innestare su un sound pulito e fighetto e influenze tutto sommato mainstream (si sentono parecchio i The Haunted) inauditi eccessi di cafonaggine, tra blast beat a rotta di collo e pig squealing a strafottere. Il giochino è troppo incongruo per funzionare per un disco intero ma, a piccole dosi, può pure divertire. Collection of Dead Portraits è tratta da Carnivore Sublime, settimo album (l’esordio è del 2000, prolifici ‘sti franzosi). Purtroppo resta sempre l’impressione che questi qua non abbiano mai capito molto bene cosa vogliano fare:




E non mi convince troppo manco il nuovo pezzo degli HATRIOT, il progetto messo su dall’ex cantante degli Exodus Steve Souza con i suoi figli alla sezione ritmica, che come idea sa un po’ di sfiga e invece il debutto Heroes of Origin, nel suo intransigente passatismo, si era rivelato piuttosto carino. Se i brani di Dawn of the New Centurian saranno tutti come questa The Fear Within, c’è poco da stare allegri. Il vecchio Zetro ha spiegato che ora ha fatto scrivere qualcosa anche ai ragazzi e che quindi c’è un approccio un po’ più “death metal”, il che sta per chitarrine melodiche della minchia alla In Flames che creano un contrasto imbarazzante con l’acido latrato del vecchio frontman. Secondo Steve, Heroes of Origin era stato un po’ il Kill’em All degli Hatriot e Dawn Of The New Centurian sarà invece il loro Ride the Lightning. Me cojoni. Speriamo non caccino un disco djent quando vorranno fare il loro Master of Puppets:




Siccome i greci ci stanno sempre molto simpatici, vi forniamo il link per ascoltare in streaming Incendium, terzo, interessantissimo lavoro dei BURIAL HORDES. Da fan integralista della vecchia scena ellenica, non posso che stigmatizzare per pure ragioni ideologiche i loro cedimenti al canone norvegese (eppure il loro black metal, torrenziale e senza troppi fronzoli, richiama alla mente in certi frangenti le prime cose dei Nightfall, sentitevi una Nailed Curse per credere) ma il dischetto funziona, epico e maligno™ al punto giusto, con atmosfere efficaci nella loro suggestione.

Vi congedo nel modo più disturbante possibile con il video di The Stroy, da quel recente split con i BASTARD NOISE che resterà, ahinoi, l’ultima release di sempre targata BRUTAL TRUTHCi mancherete, ragazzi, sigh.



La finestra sul porcile: The Wolf of Wall Street

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wolf-of-wall-street-poster2-610x903L’inevitabile confronto con il Gordon Gekko di Wall Street viene tirato in ballo in un dialogo dopo poche scene, quasi a mettere in chiaro sin dall’inizio che Jordan Belfort è il suo esatto opposto. Quella interpretata da Micheal Douglas era una figura immaginaria che nella testa di Oliver Stone, con quella sua epica caricaturale che ce lo fa amare e odiare allo stesso tempo, doveva avvicinarsi il più possibile alla realtà. Proprio per questo il risultato era didascalico e non troppo credibile. Jordan Belfort, invece, è una persona reale. La prima grande intuizione che ha permesso a Martin Scorsese di girare il suo film migliore da quasi vent’anni a questa parte è l’aver raccontato la sua storia in chiave grottesca, cioè nell’unico modo possibile. Perché come credete si possa rendere altrimenti un universo dove stagisti ventunenni muoiono per sfinimento dopo aver lavorato per 72 ore di fila? Belfort, giovane figlio della working class americana, perde l’innocenza nel suo primo (e ultimo) giorno alla Rothschild, scolandosi il primo Martini pre prandium con il top manager (interpretato da un Matthew McConaughey splendidamente sopra le righe, come tutti gli attori di una pellicola dove l’eccesso è una cifra stilistica necessaria) che afferma di masturbarsi tre o quattro volte al giorno per reggere lo stress di ritmi che noialtri – che ai soldi non pensiamo troppo e proprio per questo non ne abbiamo tanti – non riusciremmo nemmeno a concepire. Siamo subito catapultati in un macrocosmo che ci pare troppo assurdo per essere vero. E invece l’unica cosa assurda sarebbe pensare che Scorsese stia esagerando. Ok, ci sta mettendo un po’ del suo ma, fidatevi, non sta esagerando più di tanto. Perché il mondo della finanza non è poi tutto questo ineffabile impero del male. C’è una meravigliosa puntata di South Park dove Cartman entra in fissa con il cospirazionismo sull’11 settembre per poi scoprire che è andata veramente come vogliono le versioni ufficiali e che tutte le teorie del complotto erano funzionali all’establishment perché la gente potesse continuare a credere di avere a che fare con occulti strapoteri dei quali essere terrorizzati, non con una classe dirigente di comuni mortali non impossibile da fottere. Il vero problema dei complottisti di ogni risma è che finiscono per fare il gioco di chi vorrebbero condannare, dipingendo un’élite onnipossente contro la quale siamo del tutto inermi. È molto più confortevole vederla così piuttosto che ammettere che reagire non ci interessa più di tanto. Come diceva Andreotti, finché mangeremo tre volte al giorno non faremo mai la rivoluzione.

the-wolf-of-wall-street-official-extended-trailer-0La seconda grande intuizione di Scorsese è la totale rinuncia a una qualsiasi forma di condanna morale, che non è un’assoluzione ma una semplice presa d’atto (ed è esattamente questo il motivo per il quale, come si diceva, The Wolf of Wall Street è un film infinitamente più realistico di Wall Street). Belfort (un DiCaprio stratosferico e splendidamente istrione) e i suoi accoliti finiscono per risultare, beh, quasi simpatici. Almeno a noi maschietti. Se anche voi lo andrete a vedere con la donna, lei, molto probabilmente, li odierà. Le femmine sono più concrete di noi. Il gratuito e il fine a se stesso non fanno parte della loro essenza. E non c’è nulla di più gratuito e fine a se stesso del denaro per il denaro, di una vita fatta di puttane e droga. Una vita che, sotto sotto, in più di un momento finiremo per trovare non poi così male.

Mi dispiace il quaalude non si becca più in giro, siete arrivati tardi, commenta Belfort con beffardo sussiego, illustrando allo spettatore la sua insaziabile propensione per gli stupefacenti, matrice di alcune delle sequenze più memorabili. Perché, diciamo la verità, chi tra noi non disdegna sperimentare con le sostanze psicotrope, durante la visione non potrà non pensare che, mannaggia, una botta di quaalude non sarebbe male, giusto per vedere che effetto fa. Ci The-Wolf-of-Wall-Street-Leonardo-DiCaprio-and-Jonah-Hill-600x400sentiremo sporchi nello sbattere contro un processo di identificazione che potremo negare solo vanamente, aggrappandoci a supposti codici etici personali. Perché la darwinista corsa per primeggiare nella quale si lanciano i personaggi di The Wolf of Wall Street è l’imperativo di una parte insopprimibile della nostra natura. Sempre noi maschietti, fino a non troppi decenni fa, sfogavamo il testosterone in eccesso sbudellandoci in guerra. Ora, almeno in occidente, non si usa più. Come campi di battaglia ci restano il lavoro e, per qualcuno, lo stadio. Non è assolutamente un caso se il cuore globale della finanza siano – insieme alla City di Londra – quegli Stati Uniti che, in virtù della loro storia, si differenziano dall’Europa soprattutto per il considerare la violenza una maniera naturale di risolvere le cose. Per questo La ricerca della felicità di Muccino (il cui protagonista trova riscatto e realizzazione personale proprio diventando un broker), oltre a essere un film brutto, è un film stupido, girato da un italiano che aveva preteso di narrare il sogno americano senza aver capito molto di come funzioni l’America, il Paese che più consacra la propria identità in quel mostruoso, meraviglioso homo homini lupus che non smetterà mai di affascinarci e farci perversamente sognare, ridestando in noi quelle bestie, quei lupi che abbiamo dimenticato di essere ma che dentro di noi non smetteranno mai di scalpitare.

PS Se queste tematiche vi interessano, o avete semplicemente voglia di capirci qualcosa, vi consiglio due pellicole dedicata all’esplosione della crisi finanziaria del 2008: il documentario Inside Job di Charles Ferguson e l’ottimo docudrama Too Big to Fail di Curtis Hanson, dove i convulsi giorni del crac di Lehman Brothers vengono ripercorsi tramite un cast stellare nel quale figurano, tra gli altri, Paul Giamatti (nel ruolo del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke), James Woods (il boss di Lehman, Rick Fuld), William Hurt (l’allora segretario al Tesoro, Henry Paulson) e Evan Handler – il Charlie Runkle di Californication – nei panni di Lloyd Blankfein, numero uno di Goldman Sachs.


Wimps and posers leave the hall

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Prendersela con la gente che filma i concerti col telefonino è un po’ come stroncare un disco degli Emmure: troppo scontato perché ne valga la pena e sparare sulla croce rossa non mi diverte. Diciamo, però, che approvo nella forma e nella sostanza il wanker rivolto un anno e mezzo fa da Bruce Dickinson a uno spettatore che si era messo a cincischiare con lo smart phone per tre canzoni di fila e ritengo che lo stesso epiteto ben si attagli a chi si sente investito dalla sacra missione di infestare youtube con filmati traballanti dall’audio inascoltabile. Che, attenzione, qua nessuno vuole fare il tecnofobo talebano (sarebbe ridicolo da parte di chi, per hobby, porta avanti un blog), nemmeno il sottoscritto, che uno smartphone manco lo possiede (ma tra un po’ mi converto anch’io ché ho scoperto che ci posso mettere spotify). Nessuno se la prende con chi fa riprese professionali con apparecchi professionali che, anzi, mi fornisce pure un servizio. E, se vuoi filmare un brano per ricordo, è ok, non ti capisco perché quasi di sicuro verrà una merda e non lo guarderai mai più in vita tua ma vabbé. Ma, se invece di goderti il concerto – dimenandoti sotto il palco, cazzeggiando con gli amici nelle ultime file o bevendoti una birra tranquillo al bancone, come preferisci – te ne stai per tutta la sua durata con le braccia alzate brandendo il tuo cazzo di giocattolino, beh, non solo c’hai dei problemi seri in generale ma stai rovinando l’esperienza agli altri e a te stesso. È come se la tua ragazza si mettesse a mandare sms mentre ci fai sesso, per usare la riuscitissima metafora dal chitarrista dei Nile Karl Sanders, che ha affrontato la vexata quaestio in un’intervista a Metal Wani. Traduco integralmente il passo in oggetto perché ne condivido anche le virgole:

MW: come ti senti quando sei sul palco e vedi un mare di telefoni cellulari e fotocamere? Sono passati i giorni nei quali si vedevano mani che facevano le corna.

Karl: (ride) grazie per avermelo chiesto. C’è un mio pensiero in proposito che vorrei condividere con i fan perché non credo che i fan capiscano. Quando sei impegnato a filmare il concerto con il tuo telefonino o videocamera o quel che è, non sei parte del concerto. Non sei più parte dell’esperienza. Quando sei coinvolto nello show, stai ascoltando il gruppo, lo stai guardando, stai scapocciando, stai pogando, quindi sei parte di un’esperienza comune. Tutti noi siamo concentrati sulla stessa energia ed è un’esperienza incredibile. Puoi sentirlo, è reale, il gruppo e i fan si uniscono, sono una cosa sola. Quindi, quando vedo ragazzi che filmano il concerto, mandano messaggi et similia, stanno perdendosi un’esperienza meravigliosa, il che mi ferisce, mi scoraggia. È come se sei a letto con la tua ragazza e lei manda messaggini mentre state facendo l’amore. Mi infastidisce così tanto che se qualcuno lo fa di fronte a me gli strappo via il telefono. Se uno mi piazza la telecamera davanti alla faccia, gli dico ‘fanculo, vattene via, torna indietro di venti piedi’, perché la prima fila è per chi vuole essere coinvolto e, se stai mandando messaggini, stai fottendo un fan che vorrebbe stare più avanti per godersi la musica.

E insomma, amen. Davvero non mi sento di aggiungere altro. Anzi, sì, se state pensando che Karl Sanders è cattivo e maleducato perché manda affanculo i fan che gli piazzano lo smart phone davanti alla faccia, avete sbagliato blog. Anzi, avete proprio sbagliato musica.

I Malevolent Creation cacciano Gus Rios e lo insultano pure

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Sulla pagina facebook dei Malevolent Creation stamane è apparso questo simpatico post:

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Vi prego di notare gli ’1′ dopo i punti esclamativi, che rendono il tutto ancora più surreale. Dopo che decine di fan avevano attaccato la band per uso improprio della parola ‘gay’, il post è stato cancellato, il che, ovviamente, non ha fatto che peggiorare la situazione, dato che ora i fan, ancora più incazzati, stanno subissando la bacheca dei Malevolent Creation di screenshot come quello che vedete qua sopra e improperi assortiti, chiedendo loro, giustamente, chi credano di prendere per il culo. Scripta manent. Come danno di immagine non è mica male, considerando che a quell’altro coglionazzo di Dave Mustaine fu sufficiente dare del ‘faggot’ a un provocatore durante un concerto per essere tacciato di omofobia dai siti americani (perché, lo ricordiamo, in Usa il politically correct è una cosa seria, non è come qua che puoi dare del pederasta a qualcuno in mondovisione per poi giurare di essere stato frainteso). Insomma, peso el tacòn del buso, come dicono a Caltanissetta.

La morale della favola, finora, è che bisogna stare lontani dai social network quando non si è in uno stato di piena lucidità. Supponiamo infatti che il post della discordia sia stato scritto da Phil Fasciana (un po’ per il suo ruolo di leader nel gruppo, un po’ per il suo carattere, a quanto si dice non facilissimo, diamo per scontato che sia opera sua) dopo aver festeggiato la defenestrazione del batterista con qualche striscia di coca di troppo.

Aspettate, mica è finita qui. C’è anche la versione di Gus Rios che, in un comunicato dai toni decisamente più urbani uscito su Sick Drummer Magazine, sostiene di essere stato lui ad aver deciso di lasciare il gruppo per quelle che lui chiama “differenze personali”:

“After several years, I have decided to part ways permanently with Malevolent Creation. The simple reason is personal differences. I appreciate all of the people I’ve worked with during my time with the band and want to thank all of them – I’m sure we’ll work together again in the future with another band. Most of all, I would like to thank all of the fans who have supported the band! I’m sure you will continue to support.” 

“This opens me up for bands in need of a touring and/or recording drummer, as well as a full-time position if the situation is right. I can be reached on my facebook page here: https://www.facebook.com/riosgus.”
Se Rios – che nel 2010 era subentrato a Dave Culross e aveva registrato con i floridiani il discreto Invidious Dominion, uscito quello stesso anno – fosse  davvero così pippa non lo saprei dire, dato che negli ultimi cinque anni non li ho mai sentiti in concerto, né ho visto video live recenti (scusatemi se non ho voglia di farlo ora per fornirvi un parere tecnico). Nè si capisce quanto la costruttiva vicenda influirà sulla lavorazione del nuovo album, il cui mixaggio è stato concluso il mese scorso… Proprio nello studio di proprietà dell’ormai ex batterista. Fatto sta che l’instabilità della formazione dei Malevolent Creation si conferma leggendaria. Sempre sulla loro pagina facebook si legge infatti un messaggio risalente al 21 gennaio ove si manifesta giubilo per la “prima prova in quattro anni col nostro bassista originale Jay Black“, che suppongo essere Jason Blachowicz, soprannominato ‘sliding doors’ per la frequenza con la quale entra ed esce dal gruppo. Cioè, se ne era andato un’altra volta? Quattro anni fa? Ma sul live australiano del 2011 non c’era lui? E chi cazzo aveva suonato il basso nel frattempo? Neanche Metal Archives mi è di qualche aiuto, quindi alzo le mani.Si accettano scommesse sull’identità del batterista “molto famoso” che avrebbe sostituito Gus. C’è Mike Smith ancora a piede libero, magari hanno chiamato lui, così tra un altro paio d’anni Fasciana potrà scrivere su facebook: WE HAVE FIRED OUR NIGGER DRUMMER!!11!1.
AGGIORNAMENTO: 447279976_gay_marriage_opponents_1_731273_answer_2_xlarge_answer_3_xlargeAddì 27 febbraio 2014 i Malevolent Creation pubblicano un altro post in bacheca con il quale ricostruiscono un po’ tutte le dinamiche dello split, annunciano il nuovo batterista nella persona di Justin DiPinto (che aveva già suonato su The Will To Kill) e Phil Fasciana spiega che non intendeva offendere i gay e che ha amici e parenti gay con i quali non ha alcun problema. Siccome, fin qui, come scuse erano troppo banali, il chitarrista aggiunge che ‘Gay Gus’ era il soprannome con il quale tutti si rivolgevano a Rios il quale, in fondo in fondo, forse ricchione lo era davvero, almeno secondo lui. Insomma, il tentativo di giustificazione più patetico della storia dell’heavy metal insieme a quella volta che Fenriz aveva spiegato che ‘ebreo’ era uno scherzoso motteggio in voga tra i giovani norvegesi per cercare di mettere una pezza sul famoso comunicato allegato a Transilvanian Hunger.Comunque il nuovo disco del gruppo, a quanto pare, si chiamerà The Path Of Malevolence e avrà una batteria editata e fintissima per colpa di quell’incompetente culallegro di Rios che – racconta Fasciana sempre nello stesso post – costringeva gli altri membri a registrare le loro parti con un metronomo per poi programmare le sue di conseguenza. Vuoi vedere che, da questa storia, quello che ne uscirà peggio, alla fine, sarà Gus? A ‘sto punto riregistratela quella batteria, ragazzi, dai.

Disagio! Malessere! Nuovo pezzo degli EYEHATEGOD!

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Joey LaCaze non avrebbe mai voluto che smettessimo“, aveva detto Jimmy Bower in un’intervista di qualche mese fa e noi a questa dichiarazione, che suonerebbe falsa e paraculo in bocca a, beh, pressoché chiunque, vogliamo crederci. Fosse anche solo perché su questo nuovo stramaledetto lavoro degli Eyehategod, che attendevamo da 14 anni e verrà intitolato semplicemente Eyehategod, il compianto batterista ci ha suonato dall’inizio alla fine. Le registrazioni dell’album, che uscirà su Housecore (l’etichetta di proprietà di Phil Anselmo) il 26 maggio, erano state infatti terminate già lo scorso anno, poco prima che, il 28 agosto, Joey andasse a ubriacarsi di bourbon nei bar dell’Ade. È quindi lui, non il suo rimpiazzo Aaron Hill, che pesta i tamburi su Agitation! Propaganda!, scheggia hardcoreggiante di due minuti e mezzo scarsi che è la prima anticipazione del disco.

Ascoltiamola e sentiamoci malissimo:


Affrontare il lunedì con i TRIPTYKON, i MISERY INDEX e gli ABORTED

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Sebbene non abbia ancora trovato il tempo di parlarvi dei dischi che più mi hanno sollazzato i timpani in questo primo scorcio di 2014 (nella playlist provvisoria, al momento, svettano Grand Magus, Artificial Brain e Supersuckers), non posso esimermi dallo spiattellarvi tre anticipazioni fresche fresche di quelle che sono le uscite estreme primaverili che aspetto con più ansia. Partiamo da Melana Chasmata, il secondo attesissimo full dei TRIPTYKON dell’esimio Tom Gabriel Warrior che, confermandosi persona assai seria, ha da poco rivelato di aver rifiutato una mazzetta da 140 mila dollari propostagli dagli organizzatori del Wacken per un singolo show di reunion dei Celtic Frost. Gli scazzi con Martin Ain che rigettarono lo storico marchio nell’oblio restano ancora in larga parte misteriosi e tale riserbo non può che aumentare la stima che abbiamo per il signor Fischer al quale, per nostra fortuna, l’unica cosa che interessa è continuare a produrre ottima musica. Dei retroscena poco ci importa, del resto, dato che i Triptykon sono la naturale prosecuzione del discorso intrapreso con quel Monotheist che, a distanza di tempo, continuo a considerare uno dei dischi heavy metal più belli e importanti dello scorso decennio.

Sono da un paio di giorni online due delle nove tracce che comporranno Melana Chasmata e, ascoltandole, mi è venuta una bava alla bocca tale che da un paio di giorni sono costretto a girare per strada con il bavaglino:

Aspra e groovosa, mutevole e nervosa Breathing, non lontana dai momenti più aggressivi di Eparistera Daimones:




Più ipnotica e soffusa Boleskine House, animata da un suggestivo intermezzo con voce femminile:




Alquanta curiosità mi suscita The Killing Gods, primo lavoro dei MISERY INDEX su Season of Mist. Gli americani sono sempre stati un mio gruppo feticcio e avevo letteralmente adorato Heirs To Thievery, che li aveva visti innestare una componente melodica inedita nel loro death/grind cruento ma cristallino. Una componente che diventa dominante in questo nuovo brano, un mid-tempo a tinte svedesi che si spinge ben più oltre di quanto sperimentato in pezzi come The Spectator, tra gli episodi meno intransigenti dell’album precedente. Se Conjuring the Cull si rivelerà una variazione sul tema isolata o il simbolo del nuovo corso di Netherton e compagni, lo scopriremo solo a fine maggio. Fatto sta che, in certi casi, è meglio tentare il passo più lungo della gamba che adagiarsi sugli allori:




Non dovremo invece aspettarci chissà quali sorprese (e meno male) dagli ABORTED. Global Flatline era stato una delle migliori uscite death metal del 2012, nonché uno dei due o tre migliori lavori mai incisi dai macellai fiamminghi. Se The Necrotic Manifesto, con la cui title-track vi congedo, riuscirà almeno a mantenersi su quei livelli, ci sarà di che leccarsi i baffi, zuppi di sangue e materia organica non meglio identificata. Arimortis:


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